Un tempo el remòll – il rialzo delle temperature con la conseguente fusione della neve – segnava la fine dell’inverno duro e l’inizio della primavera. Nei racconti era spesso legato alle valanghe di stagione. Con qualche eccezione, come el remòll di fèsti, di pochi giorni durante le festività natalizie.
Da anni, però, el remòll è diventato la regola della stagione fredda. E il gelo l’eccezione: lo dice il termometro.
Forse per questo, in quest’inizio d’inverno sembra più rassicurante puntare al tavolo verde che lanciarsi in una discesa olimpica con arrivo a milleduecento metri, nonostante i bacini di accumulo, batterie di cannoni e neve di laboratorio. L’inverno è diventato una comparsa. Lo spettacolo deve continuare. Buona fortuna.
La temperatura media in Svizzera dal 1864. Ogni anno è indicato con un colore. Gli anni in rosso sono più caldi e quelli in blu più freddi rispetto alla media del periodo 1961-1990. (fonte MeteoSvizzera)
La luce incide, l’ombra risponde. Il bello di Luna a novembre è che la parete vibra del loro confronto, ogni appiglio si accende e si spegne, la roccia respira nel ritmo del giorno che declina. Salendo, senti che il granito non è mai neutro — ti accoglie, ma pretende ascolto, equilibrio, presenza.
Oggi, con un giovane compagno di cordata, ho condiviso questa danza di chiaroscuri, la salita diventa un dialogo silenzioso, un modo per imparare a leggere la parete come si leggerebbe un volto, un paesaggio che cambia con la luce.
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Cammino, arrampicata e ascolto: esperienze per abitare la montagna.
Un giorno o due, per trovare sintonia con l’intorno e con sé stessi. Ci si incontra, si parte senza fretta, si osserva come cambiano la luce, il vento, il passo. L’intorno diventa campo d’esperienza, non sfondo. Prima comprendiamo cosa accade attorno a noi, poi cerchiamo di capire come superare gli ostacoli, con quali tecniche, e solo alla fine con gli strumenti giusti. Più che il dove, importa il come. La montagna insegna a leggere, a scegliere, a rallentare o correre.
Nel muoversi tra sentieri e pareti si alternano cammino e arrampicata, gesti semplici e concentrazione. Si esplorano indizi, pillole di orientamento, lettura del terreno e della roccia, stima dei tempi, percezione dei pericoli e degli scenari. L’impegno fisico e tecnico cresce con naturalezza, passo dopo passo, calibrato sulle persone e sul momento.
Gli incontri inattesi, le sorprese, i mutamenti del meteo o dell’umore diventano parte del gioco, occasioni per allenare l’attenzione e l’ascolto, dentro e fuori. Scoprire che il vento non soffia solo sulle creste, ma anche nei pensieri.
Quando si allunga il tempo – due giorni in montagna, con una notte in bivacco o in baita – tutto si fa più denso, la luce del tramonto, il silenzio, i gesti condivisi. L’esperienza diventa più profonda, più essenziale. Le conoscenze si sedimentano nei movimenti, nella postura, nello sguardo.
Il programma nasce ogni volta su misura, costruito insieme, nel rispetto delle condizioni della montagna e del ritmo di ciascuno. Non esiste un percorso standard, ma un cammino che si disegna passo dopo passo, con attenzione, libertà e curiosità.
Sono tornate le api! Un grande favo pende dalla fessura a strapiombo del secondo tiro. Se continuano a costruire qui le loro perfette strutture esagonali per custodire miele, polline e larve, significa che questa è casa loro. Possiamo tranquillamente rinunciare a salire quel tratto di parete, gli altri itinerari sparsi su questo bel muro di gneiss, all’imbocco della Valmalenco, offrono comunque splendide possibilità di arrampicata.
Ecco il disegno aggiornato delle vie delle strutture di gneiss di Cagnoletti – Valdone in Valmalenco
Al centro della foto, ricevuta da un amico, si osserva una nuova frana scesa probabilmente negli ultimi giorni sulla parete Nord del Cassandra. Non è gigantesca, ma ha comunque modificato un tratto di parete ormai da qualche anno spoglio di ghiaccio e neve — salvo la recente spolverata che vela appena le forme. Il cono di detrito si apre come un ventaglio dal punto di crollo, fino a raggiungere il ghiacciaio del Ventina.
È la montagna che cambia pelle. Crolli e frane sono sempre avvenuti, ma la drastica riduzione del ghiaccio, la minor copertura nevosa e la degradazione del permafrost non possono che favorire l’aumento dei processi di instabilità naturale.
Dovremo farci il callo. Detriti, rocce rotte, brusche oscillazioni termiche che agevolano i distacchi. Il facile che si trasforma in difficile o impossibile. Nuovi occhi, nuove antenne, per abitare l’instabile.
Parete Nord Cassandra 2025 (foto Alfredo Lenatti)Parete Nord Cassandra (foto guida CAI Touring 1975)
Alla fine della giornata, in cima alla parete, gli ho lasciato un piccolo compito: «Quando torni a casa, disegna un ricordo di oggi». Questo è il risultato.
Sul foglio c’è tutto: il cordino blu passato attorno al larice, il rododendro, il friend viola piazzato con cura, la corda rosa che ci univa e ci teneva in tensione, e sopra di noi – davvero – lo stambecco. Un guardiano delle rocce, metà Dio Pan, metà spirito della montagna, che ci osservava dall’alto in silenzio.
Raccogliere un frammento di documentazione attraverso un racconto spontaneo, fatto di segni e colori, restituisce a chi guida lo sguardo fresco del bambino sull’esperienza appena conclusa. In fondo documentare la nostra ascensione significa non solo archiviare, ma dare valore alle tracce, trasformarle in memoria viva. Qui la “bacheca” è un foglio di carta che mette in relazione luoghi, emozioni, gesti tecnici e simboli che ci aiutano a rielaborare quel che abbiamo vissuto.
Un disegno che racconta più di mille parole la giornata: tecnica, fiducia, stupore. La memoria viva di una scalata, vista dagli occhi di chi muove i primi passi in verticale.
E’ ormai pomeriggio quando i tre agrimensori dei Grigioni capitanati da Johann Coaz raggiungono la parte terminale della magnifica cresta che conduce in vetta.
Il topografo e ingegnere forestale Coaz, assieme a Jon e Lorenz Tscharner, si sono spinti là dove mai nessun umano aveva messo piede prima, inoltrandosi nel cuore del Labyrint, il dedalo di crepacci e seracchi dell’alto bacino collettore della Vadret da Morteratsch.
Puntano all’inviolata cima più alta del massiccio. Non esiste nessuna mappa della zona, Coaz la sta disegnando in quel periodo.
L’ascesa è essai faticosa, ma l’ambiente di ghiaccio straordinario e l’avvicinarsi della cima sospingono verso l’alto i tre esploratori dell’ignoto.
Sono partiti dal Bernina Suot, duemila metri di quota più in basso. La cresta finale si diparte dai ghiacci della rilucente parete Est e mira dritta alla sommità, è la via più breve e naturale per calcare la vetta prima del buio.
Non senza qualche spavento i topografi vincono la stanchezza e l’ultimo tratto erto dove si alternano rocce rotte di diorite e ripidi scivoli di firn. Alle 18 raggiungono l’elevazione più alta dell’intero massiccio, 4050m, prende il nome di Bernina, come l’omonimo passo poco lontano. E’ il quattromila più a Est delle Alpi.
Millecinquecento metri più in basso la lingua del Morteratsch si allunga come un enorme dorso di drago, delimitato ai lati dalle imponenti morene laterali. I tre topografi non possono indugiare a lungo nel piccolo spazio inesteso della cima, la notte si avvicina, giusto il tempo per scrutare dall’alto la moltitudine di montagne che si stagliano intorno e si perdono all’orizzonte.
Verso Sud Est la bella piramide nevosa del Piz Zupò si avvicina per altezza al Bernina. Lo stesso Coaz nel corso dei suoi rilievi ne ha stimato l’altezza in 4001 m. Nei decenni successivi, a seguito di ulteriori rilievi, perderà qualche metro e il primato di quattromila, attestandosi a quota 3996m.
La luna rischiara la lunga discesa; alle 2 di notte, dopo venti ore di scalata e duemilacinquecento metri di dislivello, il trio è di ritorno, al sicuro può festeggiare con un paio di bicchieri di “vecchio” della Valtellina.
Dopo la costruzione della Capanna Marco e Rosa nel 1913, la salita lungo la luminosa Cresta Est viene progressivamente abbandonata, a favore della più diretta via per la Spalla e la cresta Sud.
All’attacco della cresta sommitaleLungo la crestaQuasi in vettaDiscesa lungo la normaleBernina parete Est con al centro la cresta Coaz
Scheda
Piz Bernina per la cresta Est
Johann Coaz, con Jon e Lorenz Ragut Tschrner il 13 settembre 1850
Dal Rifugio Marco e Rosa si traversa in direzione Nord il grande pendio glaciale della Spalla, andando a scavalcare, verso quota 3750m, il tondeggiante crinale nevoso della cresta Est della Spalla, per entrare nel vallone (attenzione ai seracchi soprastanti!) compreso tra il crinale e e la Cresta Est. Superata la crepaccia terminale il percorso segue integralmente il filo della cresta rocciosa orientale.
Dislivello 300m, difficoltà variabili da AD/D, passi di III
Note importanti
La salita descritta è un percorso in quota selvaggio e affascinante, anche se l’accesso alla cresta risulta oggi assai problematico e non privo di pericoli oggettivi.
La nuova geografia del disgelo cambia di continuo le condizioni della montagna. Tutto muta con una rapidità impressionante, bastano poche ore per stravolgere i percorsi un tempo ritenuti abituali e consolidati. Un invito a valutare costantemente le condizioni, passo dopo passo, a relazionarsi con l’intorno, a predisporsi all’immediata percezione di ciò che accade in ogni istante dell’ascesa.
Spetta solo all’alpinista, a chi s’addentra responsabilmente nel cuore della montagna, valutare di volta in volta le condizioni, percepire la densità di pericoli e predisporsi ai rischi conseguenti.
Se il clima soffre di un cambiamento radicale e inusitato, forse è un’occasione per riscoprire come è ancora possibile “abitare”, anche nelle forme più creative, l’imprevedibilità, per comprendere come siamo dipendenti dal clima che cambia, lontani da qualsiasi senso di certezza.
Stesso luogo, stessa pietra davanti al Marinelli Bombardieri al Bernina. Ottant’anni scorrono tra queste due immagini. Mio nonno e io, stesso mestiere: la guida alpina. Nella foto d’antan c’è un fascino irripetibile, il “physique du rôle” intagliato nella fatica, la sigaretta arrotolata che pende dalle labbra come nei film in bianco e nero. Oggi restano altre cose: il peso della salita appena conclusa, la felicità silenziosa del compagno di cordata, il rifugio che ci accoglie. In quell’istante, la fatica si scioglie e diventa memoria, continuità, ritorno.
Su queste balze di serpentino è comparsa una nuova ferrata. Di fronte, Chiesa e Caspoggio dall’alto: mezzo secolo di orgia immobiliare, case chiuse, letti freddi. Ora ferro sulla roccia, come cemento nella valle. Lo specchio riflesso di ciò che siamo?
Nel 1991 Alessandro Reati e Marco Peduzzi pubblicarono “Magia Rossa”, una guida che raccontava l’arrampicata e l’alpinismo in Valmalenco, ribadendo un concetto semplice e potente dove le rocce della Valle del Mallero sono ottime non solo per essere tagliate a fette. Tra le strutture in quota, le remote pareti di serpentinite nascondono gioielli rari. Qui l’alterazione superficiale regala alla roccia una colorazione rossastra unica, al sorgere del sole le tonalità diventano incredibili e la superficie, cosparsa di minuscoli cristalli di magnetite, si fa ruvida, aderente, perfetta. Fessure di ogni misura accolgono bene le protezioni veloci, una delizia per chi ama scalare. Roccia, cielo, silenzio. Basta faticare un po’ per andarsele a cercare.
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