E’ inutile rincorrere la neve che non c’è, o il ghiaccio provato dal “remòll di fèsti” che si protrae senza fine.
E’ sempre possibile allenare l’esperienza, scegliere percorsi incerti e saperli decifrare, leggere dal vero le relazioni e connessioni esistenti, incuranti del flusso travolgente di informazioni virtuali circolanti.
In pratica riconquistare il senso dell’orientamento e scegliere una direzione, leggendo il terreno, liberi di smarrirsi e di ritrovarsi.
Contattatemi per esercitare dal vivo e dal vero questa scoperta (adatta a tutte le gambe).
Si può stare al di fuori dal turismo d’avventura pre-confezionato? Evitare “esperienze adrenaliniche” forzate?
Forse è ancora possibile fare un’esperienza in montagna alla propria misura e muoversi secondo quel che sentiamo, dove c’è da scoprire più che da imparare.
Come?
stabiliamo un contatto diretto e sensibile con l’ambiente naturale
con un reale apprezzamento dei luoghi attraversati, dove le energie si sprigionano liberamente
promuoviamo la consapevolezza di quel che accade, piuttosto che dire cosa occorre fare
proviamo ad usare mezzi più semplici possibili, per render l’esperienza ancor più ricca
si può abbassare il tenore delle salite, guadagnando in qualità
tutti dappertutto non ci interessa
l’avventura si svolge nell’avvenire, nella sua ambiguità, grande e piccola
non è gioco e non è serietà, sta nell’istante imprevedibile che viene
si trova su grandi pareti ma anche in un semplice bosco dimenticato o su una piccola rupe
la percezione della nostra esperienza è la nostra priorità
per ritrovare se stessi
per respirare liberamente (no paesaggi mozzafiato!!!)
per togliere condizionamenti e sensazioni superficiali
liberi di salire oltre il limite degli alberi
guardiamo in alto
abitiamo la montagna
se mi dici chi sei ti dico cosa possiamo fare assieme
Il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato in Italia dall’invenzione del termometro, gli sconvolgimenti economici e sociali in corso sempre di più ci mostrano come il semplice concetto di “stazione climatica” sia una risorsa formidabile, dove basta un fazzoletto di bosco, un torrente, un sasso dove sedersi, un cuscino di muschio, per godersi la frescura, guardarsi attorno, ascoltare, leggere un libro… anche solo per tirare il fiato.
Eppure prosperano folli progetti per nuove infrastrutture sciistiche un po’ ovunque sulle montagne lombarde, incluse quelle arroventate dal sole e a quote non propriamente elevate.
Pazzie e insensatezze a parte, anche quando si inizia a percepire un necessario cambio di rotta, per fuggire ad una monocultura spompata, non per scelta, ma perché il clima ci presenta il conto, si replica lo stesso approccio separato dalla montagna vera, l’unica che ci appartiene e rappresenta.
In Valmalenco è in arrivo la ciclovia, con allargamento e “lisciatura” di antiche vie e pure una luccicante nuova ferrata, mai vista prima da queste parti, sulle ombrose rupi del Castel.
Un perverso incantesimo per fare “cose”, con la rincorsa a trasformare ogni spazio naturale integro, dove far combaciare il tempo libero con quello del consumo.
Megaprogetti e nuovi passatempi, seppur a scale diverse, mostrano quanto siamo stretti all’angolo, immobilizzati e incapaci di mutare atteggiamento e ancorati a schemi di pensiero disintegrati dalla realtà.
Rinunciare ad accogliere i nostri limiti e non accettare la meravigliosa imperfezione di sentieri, rocce, boschi e pascoli, che poi sono la vera e autentica ricchezza, significa perdere la possibilità di trovare un senso, relazioni ed esperienza con le nostre montagne.
Ancora questa splendida Valle, seppur maltrattata, ci fa vivere bene e accoglie tanti viaggiatori ed ospiti, attratti non dagli orpelli, ma dalla qualità ambientale delle nostre montagne, dall’identità ancora in parte conservata, dall’accoglienza a volte ispida ma sincera!
Scassare l’impervio per adattarlo alle due ruote, assieme alla posa di cavi e metalli non cambiano di una virgola, non educano, non migliorano le condizioni di vita di chi vive in Valmalenco.
L’unico turismo che ci appartiene parte dalla consapevolezza della bellezza delle nostre montagne a cui non serve il puntello di alcuna infrastruttura.
Quando arriverà il tempo di sostituire le “cose” con i “significati”? Mollare i cantieri costosi per il divertimento effimero di breve durata e raccontare (bene e con cognizione di causa) quel che abbiamo? Quando scopriremo che da qui nasce il desiderio, da qui il modo sano e durevole di stare al mondo, per vivere quassù e della montagna?
Questa zona della Grignetta, costellata di guglie, cuspidi, creste, pilastri e spuntoni è un vero e proprio caos minerale.
Ogni roccia emergente, ogni frammento di calcare assume qui una decisa personalità, quasi a voler rappresentare una vitalità inusuale nel mondo minerale, che prende forma e vita nel corso di innumerevoli millenni.
Come se d’incanto i mutamenti impercettibili diventassero chiari e visibili, immediatamente leggibili da un libro vivo, il grande libro di pietra.
Questa è la geologia e geografia vera e vissuta, con uno sguardo privilegiato sul Lario e sul corso dell’Adda che si disperde nelle brume della pianura..
Il versante più ombroso dello Spondascia, tra i duemila e duemilaquattrocento metri, in questo periodo normalmente è il rifugio del gelo.
Riusciamo invece a mettere assieme, senza brividi e a “mani nude”, quasi mezzo chilometro d’arrampicata, combinando più vie.
Di fronte a noi i giganti del Bernina sono inondati di sole.
L’ambiente cambia assai più rapidamente dei nostri comportamenti.
I cambiamenti climatici sembrano troppo planetari per prestarci attenzione, troppo complicati per sentirsi coinvolti, troppo distanti per trovare un agire locale.
La cresta di roccia diversamente solida è tutt’altro che declassata, lontana da un emporio a disposizione.
E’ la roccaforte delle pernici bianche, che spiccano il volo dall’alto degli strapiombi di marmo, per planare sopra le pareti di scisto.
A confronto siamo assai piccoli e goffi, intenti a decifrare il caos minerale che incontriamo sotto le dita, attenti ad ogni appiglio, concentrati su ogni passo.
Cima di Vazzeda 3297m, cresta Est (A. Bonacossa e G. Polvara, in discesa, 26 luglio 1921)
Sopra di noi il grande trittico di diorite che ispira reverenza: Roseg, Scerscen e Bernina. Più a lato la macchia bianca di granito della Crast’Agüzza e l’inconfondibile fascia di marmi chiari inclinata verso Est. In basso il selvaggio vallone dello Scerscen raccoglie le acque di fusione dei ghiacciai oggi stremati, che un tempo modellarono le pietre verdi su cui stiamo arrampicando.
Un bel terreno d’avventura, dove la scalata richiede d’esser scopritori, tra muri, pance, prominenze, fessure e canali di gronda pietificati.
Quest’anno non vi è più traccia di neve residua sino alle creste più alte dei giganti del Bernina. La fine dell’estate si annuncia con l’ingiallire dei pascoli. Un segno distintivo dell’avvicinarsi all’equinozio è il potente profumo forse sprigionato dall’Anthyllis vulneraria a fine fioritura. A metà tra il profumo di fieno e calzettone strausato, arriva dritto al naso, segna il tempo e l’arrivo delle lunghe ombre dell’autunno. Naso a terra provate a rintracciarla.
Una salita speciale per leggere il granito, muoversi nel vento fresco delle prime luci del giorno, graffiarsi le dita, inseguire i passaggi del Vinci, isolarsi dal tempo, abbandonarsi senza noia, disperdere l’esercito di pensieri alla cui aggressione continua siamo sottoposti al piano.
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