Alzare il livello di difficoltà in arrampicata e alpinismo è probabilmente l’obiettivo principale di tanti praticanti e numerosi somministratori di corsi di vario tipo in seno a club alpini, guide, e associazioni sportive…
Per fare questo si insegna correttamente ad assicurare, a progredire, a volare, distinguere fix, spit, resine, chilonewton, piastrine gigi e freni tuber, destreggiarsi in nodologia e identificare al buio cordini dinamici precuciti da quelli in kevlar e dynema…
Percepire il baricentro, distinguere fasi statiche e dinamiche, favorire prensioni favorevoli, rilassare il diaframma, focalizzare schemi motori, gestire la progressione incrociata, in ambio, fare il triangolo, la sfalzata, la spaccata, la sostituzione e il vertice fisso!!
Tutto perfetto! Anche se a volte può capitare che la mole di informazioni da elaborare e l’ansia da prestazione, trasformino un piacevole momento di svago, sport, conoscenza e incontro con la natura, in un’attività non dissimile dal lavoro stressante da cui si desidera fuggire per un poco.
Abbassare il livello significa puntare ad esperienze meno dipendenti dal grado di difficoltà, mirando non solo a percorsi ben accessibili al proprio livello, ma che consentano soprattutto di essere messi a fuoco completamente, così da essere affrontati con maggiore autonomia e indipendenza.
Spuntare una sterminata check-list di tecniche e procedure non è sufficiente a tenere a bada la paura e a ragionare su come poter vivere bene entro un contesto verticale, soprattutto quando spingiamo unicamente sul superamento della difficoltà.
Per questo abbassare il livello non è da intendersi come una regressione, ma un invito a sperimentare il gioco, la scoperta di sé e dell’ambiente, con una scelta di obiettivi solo in apparenza più facili, che ci danno l’opportunità di vivere meglio quel contesto, tollerare e comprendere i rischi insiti in ogni attività condotta negli ambienti naturali e, alla fine, scalare con migliore efficacia e con meno fatica.
Se condividiamo l’idea che l’importanza di un’uscita in montagna risiede nell’esperienza, nelle emozioni che essa attiva e non nel piccolo primato personale fatto di ripetizioni fugaci, di palmares d’ascensioni o nel “marchiare” con nuovi percorsi i residui brandelli di pareti vergini rimaste, ecco che potremmo aprire in ogni istante nuove grandi salite, semplicemente arrampicando come se stessimo affrontando per primi la parete, indifferenti alla patina lucida degli appigli già percorsi centinaia di volte…
Poche ed essenziali indicazioni geografiche d’orientamento generale ci porteranno vicino alla montagna, per lasciar spazio alla scelta personale di ricerca dell’itinerario, all’ interpretazione attiva della linea di salita, in funzione dello stato di forma o di grazia, ricorrendo solo ai nostri sensi, alle nostre percezioni.
Così facendo ogni distesa glaciale, canale di neve, sperone o parete di roccia, si potranno trasformare in un inesauribile terreno di scoperta, mettendoci a nudo di fronte alla montagna. Ampliando l’incertezza, privandoci di informazioni anticipate, resettiamo il nostro rapporto con la parete, riportando il sistema di elaborazione allo stato iniziale, cogliendo così ogni passaggio, ogni sfumatura, rinunciando al superfluo, cogliendo appieno ogni piccolo passo verso l’alto.
Accrescere la capacità di distinguere la “tecnica” dal “fattore umano”, può produrre un senso di “liberazione” che apre le porte a consapevolezze inattese e migliora la qualità dell’andar per monti.
Iniziare a “sottrarre” ed eliminare metodi affrettati e mete inadeguate, sovente scelte solo per rimpolpare l’autostima, ma privi sensibilità, di risonanza sensoriale e percettiva, può contribuire a migliorare la comprensione, attivando una consonanza con la Montagna ideale.
Cosa significa allenare l’esperienza?
L’esperienza non è trasmissibile.
Ognuno di noi si muove in un universo sensoriale che è legato a ciò che la sua storia personale ha prodotto a partire dall’educazione che ha ricevuto.
La relazione con l’ambiente è il mezzo più potente per migliorare le nostre capacità d’osservazione, di ascolto e di presa delle decisioni.
Il rischio in montagna è ineludibile e l’assunzione di responsabilità come mezzo di autoprotezione, è l’unico efficace antidoto.
Prepararsi ad essere impreparati è il miglior messaggio che possiamo veicolare, dove la natura va sentita, “provata”, per riacquistare il Senso, rifuggendo alla trappola dell’uomo tecnologico, che allontanandosi dalla Natura perde Sensibilità, cadendo nella trappola dell’ignoranza assistita, i cui effetti dannosi incrementano di uscita in uscita.
Michele Comi
Articolo pubblicato su Salire, periodico del Club Alpino Italiano regione Lombardia – n. 18 Dicembre 2018