E’ ancora notte quando metto piede sul ghiacciaio e mi lego con l’inossidabile Alberto. Sembra impossibile che da qui a poche ore saremo in cima a quella grande muraglia, apparentemente irraggiungibile, di cui si intravede in lontananza la sagoma scura. Attraversiamo il vasto plateau del ghiacciaio di Scerscen superiore in completa solitudine. A parte la drastica riduzione degli apparati glaciali, il Bernina-sud è rimasto come ai tempi dei primi esploratori alpinisti: una vera terra di confine fatta di ghiaccio, canaloni, creste e pareti. Tolte le 3-4 vie normali, comunque poco frequentate, le grandi vie del massiccio meridionale sono un autentico viaggio lontano anni luce dalle processioni in quota dei quattromila. Il Monte Rosso di Scerscen 3971m (ora Monte Scerscen) s’innalza con una vasta parete rocciosa trapezoidale di 700m, solcata da tre rampe inclinate. Quella superiore nasconde un erto canale nevoso, percorso nel lontano 1879 da Paul Güssfeld assieme ad Hans Grass nel corso della prima ascensione della montagna da sud. Il canale, nonostante le condizioni ben diverse da quelle di fine ‘800, è ancora percorribile e consente di portarsi rapidamente in quota, sino a raggiungere la cresta sommitale, poco distante dalla fotogenica e inconfondibile elevazione quotata 3875, meglio nota come Schneehaube (Cappuccio di neve) e da lì in breve alla vetta principale. La successiva traversata in direzione Bernina, infida e complicata, è un concentrato di alpinismo con la A maiuscola: esilissime creste, cornici di neve aggettanti, pinnacoli e torrioni di rocce rotte che precipitano a picco sui due lati. Non un caso se un intenditore come Chris Bonington così si espresse a proposito della traversata Scerscen-Bernina: “La nostra via era stata superata nel 1886 e non presentava difficoltà tecniche, ma un pendio uniforme a 55° sul Piz Scerscen, un’affilatissima cresta rocciosa, ricca di gendarmi, da cui una via di fuga sarebbe stata problematica. In breve la salita richiese un impegno che manca in molte vie moderne di roccia nel massiccio del Monte Bianco”. Michele Comi
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