La capanna Marinelli-Bombardieri o più comunemente “la Marinelli” rientra a pieno titolo tra i rifugi storici dell’arco alpino.
Il primo semplice ricovero per alpinisti fu eretto nel lontano 1880, subito dopo la prima fase esplorativa del gruppo, condotta dai grandi viaggiatori, per lo più anglosassoni, inventori dell’alpinismo.
Si trattava di una piccola casetta in pietra, che consentì l’accesso dal lato italiano all’allora semi-sconosciuto versante meridionale del Bernina.
Negli stessi anni presero servizio in valle le prime guide alpine locali.
Ai primi del novecento iniziò il servizio di gestione estiva, dei fratelli Mitta, di Torre di Santa Maria, la cui gestione continuò per quasi mezzo secolo.
La struttura venne via via ampliata, soprattutto in concomitanza con la sua frequentazione da parte degli alpini, negli anni del primo conflitto mondiale, che videro le montagne del Bernina presidiate, seppur non teatro di battaglia.
Drammatici furono comunque le perdite, non causate dai proiettili, ma dalle valanghe che nell’aprile del 1917 travolsero in due occasioni 24 militari che operavano in zona.
Veduta dal rifugio Marinelli in una foto d’epoca.
L’epoca tra le due guerre fu un periodo di grande fermento e popolarità del rifugio, sede permanente di corsi di alpinismo estivo dei giovani studenti universitari e crocevia alpinistico di grande importanza.
In quegli anni una decina di guide malenche stazionavano per l’intera estate al rifugio, accompagnando i numerosi clienti sulle vie più rinomate del gruppo, mentre le giovani malenche di servizio al rifugio scendevano a prender l’acqua alla fontana posta più a valle col «bagiul» (legno ricurvo agli estremi, che reggeva i secchi).
A qei tempi gli alpinisti diretti al rifugio partivano dal fondovalle.
Dai 1000 metri di Tornadri su fino a Franscia, poi lungo una splendida mulattiera sino all’Alpe Foppa e Musella, quindi verso i luoghi alti, i rifugi Marinelli e Marco e Rosa.
Da queste parti passò nel lontano 1861 la signora Freshfield assieme al giovane figlio Douglas William (che diventerà uno dei più noti alpinisti inglesi, Presidente dell’Alpine Club e decano dell’istituto geografico di Oxford).
Nell’ampio resoconto del trekking d’antan, che possiamo leggere in”A summer tour in the Grisons and the italian valleys of the Bernina”, la signora Freshfield, a proposito degli ambienti attraversati, racconta entusiasta di “un meraviglioso sentiero alpino, dei carbonai e delle malghe, delle donne e dei bambini, delle mucche e delle capre che se ne vanno in giro in quella valle pittoresca”.
Negli anni ’50 del secolo scorso fu realizzata la carrozzabile di servizio agli impianti idroelettrici sino ai 1900 metri di Campo Moro, oggi punto di partenza per escursioni e salite in quota.
Più in alto tutto è rimasto così come la comitiva anglosassone l’aveva descritto: un luogo di grande pregio naturalistico, di importanza storica e con un valore turistico indiscutibile.
I nuovi accessi automobilistici migliorarono quindi l’accessibilità al rifugio che, a partire dal dopoguerra, subì una serie di ampliamenti per far fronte alla crescente frequentazione, cui contribuirono i gestori di allora: la celebre guida Cesare Folatti, che subentrò ai Mitta, il quale passò, molti anni dopo, il testimone ai fratelli Lotti di Chiesa Valmalenco anch’essi guide alpine dalla tempra inossidabile.
L’alpinismo si trasforma quindi in pratica di massa e il rifugio raggiunge la capienza di oltre 200 posti, è il boom delle gite dei Club Alpini, delle organizzazioni del dopolavoro e degli oratori.
Si susseguono poi le gestioni di Bruno Masa, Enrico Gianatti e Massimo Pozzi.
Nel 2009 la conduzione ritorna ad una guida di Valle: il caspoggino Giuseppe Della Rodolfa.
Nell’ultimo decennio si assiste ad una generalizzata riduzione della frequentazione dei luoghi alti.
Cala il numero degli alpinisti, complice anche le mutate condizioni delle montagne che, a causa delle elevate temperature del ritiro dei ghiacciai, si presentano in condizioni spesso difficili.
Nell’estate del 2006 la guida alpina Paolo Masa diretto al Roseg, ritrova sulla superficie del ghiacciaio di Scerscen superiore i resti mummificati di un alpinista.
Dall’analisi dell’attrezzatura e dai brandelli di un vecchio quotidiano, si arriva alla conclusione che le spoglie sono riconducibili ad uno scalatore di lingua tedesca della fine degli ’20 del secolo scorso.
Oggi la quasi totalità delle cordate in partenza dalla Marinelli è diretta al Bernina.
Restano per lo più deserte le mete abituali di un tempo: le vie di misto dirette al Piz. Roseg, allo Scerscen o alla Cresta Guzza, così come l’aerea e panoramica traversata nevosa dall’Argent allo Zupò.
Ciò rende queste montagne davvero himalayane, per la vastità degli ambienti attraversati e per la sensazione di isolamento che si prova.
A dispetto della tradizionale vocazione al ghiaccio e al misto di queste pareti, numerose sono anche le possibilità di arrampicata su roccia, anche nei pressi della nuova palestra di roccia attrezzata a due passi del rifugio dalle guide della Valmalenco nel 2008.
La Marinelli e le sue montagne si confermano quindi una meta ambita per escursionisti e scalatori.
Le nuove stagioni indicano una rinnovata passione soprattutto per chi sa apprezzare l’unicità dei luoghi.
Volete vivere una forte emozione e gustarvi uno scenario grandioso? Provate a raggiungere il rifugio seguendo il selvaggio vallone di Scerscen, oppure scegliete il momento giusto, percorrete verso sera il sentiero che dalla Bocchetta delle Forbici va alla Marinelli e godetevi il tramonto sulle cime Roseg, Scerscen, Bernina, con il sottofondo musicale dei torrenti che nascono dai ghiacciai.
E’ un’esperienza indimenticabile.
Michele Comi Guida alpina
Tratto da Orobie – ottobre 2009 – grandi rifugi di Lombardia